AUDIO 2: Dall’egittomania all’egittologia
La passione per l’antico Egitto (o egittomania) risale fino all’epoca greca e romana: nel V a.C. lo storico greco Erodoto visitò l’Egitto e ne descrisse la storia e le usanze, mentre durante il Periodo Tolemaico (dal 304 al 30 a.C.) il paese fu oggetto di studio da parte dello storico greco Diodoro Siculo e Strabone lo visitò subito dopo la conquista romana.
A partire dal 400 circa d.C., le antiche scritture egiziane geroglifica, ieratica e demotica non furono più utilizzate e vennero gradualmente dimenticate, mentre l’antica lingua continuò a essere parlata nella variante del copto. Quando il cristianesimo si diffuse, l’antica cultura egiziana e i suoi templi pagani furono oggetto di una progressiva distruzione. Gli eremiti cristiani occuparono alcune isolate tombe dinastiche, cancellando buona parte delle decorazioni parietali, mentre i templi caddero in rovina e i loro siti riutilizzati come chiese. Le comunità cristiane continuarono ad esistere e ad esprimersi in copto anche dopo la conquista musulmana dell’Egitto nel VII secolo. L’Egitto faraonico, però, si era perso nel passato e la sua lingua venne gradualmente sostituita dall’arabo.
I primi esploratori europei dell’età moderna iniziarono a visitare il paese dal XVII secolo: John Greaves nel Seicento misurò le piramidi di Giza. Uno dei più pittoreschi esploratori fu il padovano Giovanni Battista Belzoni che iniziò la sua carriera all’estero come principale attrazione in un teatro di Londra. Nel 1815 intraprese un lungo viaggio in Egitto, dove il console inglese Henry Salt, apprezzando il suo fisico prodigioso (Belzoni era alto due metri) lo assunse per raccogliere reperti, compresa una statua di 7,5 tonnellate di Ramses II che si può ammirare oggi al British Museum di Londra. Belzoni, esplorando la Valle dei Re, trovò quattro tombe regali, fra le quali quella che è considerata forse la più bella, la tomba del faraone Sety I.
Nel 1798 Napoleone condusse in Egitto la sua spedizione contro gli Inglesi, ma, probabilmente toccato anche lui da una certa passione per quell’antica civiltà, portò con sé Dominique Vivant, barone di Denon, per documentare gli antichi monumenti, a volte sotto il fuoco dell’esercito ottomano in ritirata. Denon faceva parte di un gruppo di 165 sapienti al seguito dei 25.000 uomini dell’esercito napoleonico e proprio uno di questi soldati scoprì la famosa Stele di Rosetta, che riporta un testo in tre scritture, geroglifico, demotico e greco: avendone riconosciuto l’importanza per la decifrazione dei geroglifici, Napoleone fece arrivare da Parigi un litografo per farne alcune copie. Napoleone fuggì in patria per scappare dal blocco navale inglese, ma gli esperti rimasero in Egitto con l’esercito. La stele passò pertanto in mano agli inglesi che avevano sconfitto la flotta napoleonica, e oggi è conservata al British Museum, ma una copia finì nelle mani del giovane studioso francese Jean-François Champollion, che nel settembre 1822 annunciò al mondo di aver decifrato l’antica scrittura geroglifica. Nacque così la nuova disciplina dell’egittologia, che però non sostituì mai l’egittomania, quella passione per l’antico Egitto che ancora oggi è diffusa in tutto il mondo.
Cominciarono già con Champollion le prime spedizioni scientifiche di studio e di scavo in Egitto: la prima fu quella condotta dal francese insieme al pisano Ippolito Rosellini, il padre dell’egittologia italiana. Fra i grandi egittologi dell’Ottocento ricordiamo il tedesco Richard Lepsius, il francese Gaston Maspero (colui che ha fondato il Museo Egizio del Cairo), l’italiano Ernesto Schiaparelli e l’inglese Sir William M. Flinders Petrie, che lavorò in Egitto per quasi sessant’anni.