Il nome stesso “Street Art” evoca suggestioni forti e contraddittorie. Da un lato rappresenta una rottura con l’arte ufficiale e museale; dall’altro, proprio queste opere nate in opposizione alle istituzioni culturali vengono oggi accolte e celebrate da quel medesimo sistema. Artisti nascosti dietro pseudonimi, a volte ricercati tanto dai collezionisti quanto dalle forze dell’ordine, ricordano figure storiche come Caravaggio: amatissimo ma sempre in fuga. Le radici della Street Art sono antiche e nobili: dai graffiti preistorici alla pittura murale medievale, fino al muralismo messicano del dopoguerra e alla propaganda fascista in Italia. In comune, vi è l’idea di un’arte pubblica e accessibile. Negli anni ’70, dopo il golpe cileno di Pinochet, l’arte parietale si sviluppò come forza politica e collettiva: murales antifascisti e solidali vennero spesso realizzati da associazioni o gruppi di attivisti. Accanto all’immagine, anche la scrittura divenne fondamentale. Il Maggio francese propose slogan come “Siate realisti, chiedete l’impossibile”; mentre gli Indiani metropolitani nel ’77 diedero grande importanza all’ironia come strumento creativo. Negli stessi anni, a New York nacque il writing, progenitore della Street Art. Le firme (in gergo tag) si moltiplicarono rapidamente su treni e muri. Si svilupparono numerosissimi stili, e artisti come Taki 183 diventarono incredibilmente famosi. Negli anni ’80, il writing riuscì a conquistare anche spazi istituzionali. A Kassel in Germania, in occasione di Documenta, vennero esposte le opere di due giovani americani destinati a fare la storia: Basquiat e Haring. Entrambi partivano dalla strada, entrambi diventarono icone. In Italia, il fenomeno del writing esplose negli anni ’90, insieme alla vera e propria Street Art. Stavano cambiando le tecniche, lo stile e il rapporto tra legalità e illegalità. L’intervento sul muro iniziò a non essere percepito solo come vandalismo e alla bomboletta cominciarono ad affiancarsi altri strumenti: come poster, stencil, sticker e installazioni. Il primo street artist globale è stato e continua ad essere il francese Blek le Rat, precursore dello stencil su carta. Ma è stato Banksy il primo a diventare mito contemporaneo: ironico, provocatorio e misterioso. Accanto a lui Shepard Fairey (in arte Obey), maestro del poster, e JR, autore di monumentali installazioni fotografiche. Sono tutti street artist partiti dall’illegalità e approdati a commissioni pubbliche internazionali. Il murales resta, chiaramente, il mezzo più spettacolare. In Italia, l’artista più celebrato è Blu, considerato tra i migliori al mondo. Dalla Francia è partito Invader, con i suoi mosaici ispirati ai videogame, disseminati ovunque nel mondo. La Street Art, nata per le strade, oggi è presente nei musei, nelle aste, nei cataloghi. Ma. nonostante la sua parziale istituzionalizzazione, continua a vivere nello spazio urbano, a dialogare con la collettività e a lanciare messaggi socialmente impattanti. È arte libera, in costante evoluzione, che non smette di interrogare il nostro tempo.
AUDIO 2 - STREET ART
